Ungaretti inedito. ‘Lettere a Bruna’: a tu per tu con l’ultima musa
Intervista eccezionale: lo specchio di un’epoca, dell’arte e dell’amore
Ungaretti inedito in ‘Lettere a Bruna’: a tu per tu con la sua ultima musa! Ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere Bruna Bianco, grande amore del sommo poeta Giuseppe Ungaretti.
Dai nostri incontri è nata una bellissima intervista basata sul racconto che emerge dal libro ‘Lettere a Bruna’ (Mondadori, 2017) contenente le missive che il poeta le ha inviato negli anni della loro passione.
D. La corrispondenza con Ungà era in italiano o in portoghese? Immagino tu sia, ovviamente, bilingue…
R. Solamente in italiano, la lingua madre che abbiamo sempre parlato a casa anche in Brasile, mentre fuori utilizzavamo il portoghese.
D. Nel 1967 tuo padre si trovava a Torino. Come mai?
R. Mio fratello Marco era ritornato in Italia dal Brasile per studiare ingegneria a Torino; essendo un ragazzo molto sensibile, sentiva molto la mancanza della famiglia rimasta a San Paolo e mio padre, per confortarlo, decise di venire a trovarlo portando con sé anche mio fratello Bruno per fargli compagnia.
Fu in questo periodo che, durante le prime vacanze di Marco dall’Università, i miei fratelli fecero quel memorabile viaggio con Ungà, descritto nel libro, partendo da Venezia sino a Roma e dintorni.
Marco era bellissimo, dolcissimo e geniale… con Ungà c’era una stima reciproca da parte di entrambi; nostro padre, invece, non era poeta, ma scriveva benissimo ed era molto sensibile.
D. In diverse pagine Ungaretti parla di Marco, della musica e del suo disco… Se ne interessava o solo per affetto nei suoi confronti?
R. Ungà era molto generoso e aiutava tanto i giovani. Fiducioso nelle qualità di Marco nel campo musicale, fece di tutto per incentivarlo a seguire quella carriera, ma alla fine lui si dedicò a quella d’ingegnere.
Ungaretti e il Ventennio di Mussolini
D. A pagina 294 si fa riferimento al pensiero di Ungà durante il Ventennio di Mussolini; molti in Italia considerano Ungaretti un sostenitore del Duce e per questo pare sia stato, a volte, un po’ sottovalutato…
R. Terminato il suo compito come soldato nella guerra del Carso, alla quale partecipò da volontario, Ungaretti aveva conosciuto Mussolini; collaborò con lui come giornalista alla sua rivista prima ancora che diventasse il Duce, poi quando lo divenne, dopo moltissima insistenza, Ungà ottenne la sua prefazione al suo libro ‘Sentimento del tempo’ e ne fu fiero.
Nonostante ciò, passato del tempo, non ebbe alcun disagio nel criticarlo pubblicamente su alcune decisioni del suo governo. Dato che Ungaretti era già una ‘stella’ come giornalista internazionale, Mussolini per toglierselo dai piedi, lo mandò a San Paolo, in Brasile, dove insegnò dal 1936 al 1942.
Quando rientrò ed ebbe la cattedra a La Sapienza, fu accusato di insegnare in camicia nera, ma allora lo dovevano fare tutti, lui compreso: per questo vorrei anche incontrare l’attuale Presidente della Repubblica, Mattarella, per fare luce su questi fatti… e smentire definitivamente questa etichetta di ‘fascista’!
A tal proposito esiste una consistente documentazione originale, un manoscritto conservato al MASP di San Paolo e di cui ho copia, che mi fece avere il direttore del Museo, Pietro Maria Bardi, genio dell’arte mondiale e uomo di grande saggezza, in occasione del 25° anniversario dalla morte di Ungaretti, 15 anni fa…
D. A pagina 305 Ungà scrive ‘L’unica che amo da anni…’, cioè da quando era morta la moglie? Ma il vostro amore non era nato nel 1966, qui siamo solo nel 1967?
R. Sì, effettivamente lui ha un un poco “amplificato, esagerato”, era solamente da un anno, ma quello era il momento dell’apoteosi e dimenticò tutte le altre!
D. Per scrivere utilizzava inchiostro verde (curioso, come le missive che ho ricevuto dal professore De Seta e Tiziano Terzani…), come mai? C’era una ragione particolare?
R. Verde speranza! …sempre mi scrisse in verde e chiese anche a me di fare lo stesso per dare maggiore forza al nostro amore, come speranza eterna…
D. Come mai nella corrispondenza ripete spesso le stesse cose? (hotel, giorni, orari, appuntamenti, indirizzi, etc.).
R. Ungà era nato sotto il segno dell’Acquario, quindi aveva questo modo di entrare in profondità e nel dettaglio, ma anche ansia di ricevere le mie lettere e, a volte, nel timore che non arrivassero, nelle successive mi ripeteva magari le medesime cose.
D. Viveva con la figlia?
R. Sì, con la figlia Anna Maria, detta Ninon, aveva una stanzetta con sofà-letto e una scrivania con tutti i suoi libri.
D. A pag. 310 si esprime sul fatto che dubitava del suo valore, di essere amato e apprezzato dalla gente.
R. Era poeta, ma realista: al contrario, infatti, le persone lo stimavano e, dopo tanti anni, lo ricordano e lo studiano ancora oggi.
Ungaretti. Amore e gentilezza
D. AmarTi, saperTi, Tuo… utilizzava le lettere maiuscole per una forma di rispetto nei tuoi confronti o all’epoca era d’uso normale?
R. Era il suo modo di dimostrare immenso amore e rispetto, e anche una forma di esclusività nei miei confronti.
D. A pag. 318 si parla della gentilezza: quanto poca ce n’è oggi?
R. Il seme non c’è più, ma ci sono anche fiori che cerco d’annaffiare, che tutti dovrebbero annaffiare.
D. Poco più avanti scrive che amava molto Leopardi! Come mai il volume che aveva in animo di pubblicare non è mai stato realizzato?
R. C’erano stati problemi di carattere tecnico-pratico, lui aveva scritto oltre 1.000 pagine, ma infine non se ne è fatto più nulla, un vero peccato!
D. Pag. 326: sull’umanità, già allora… sono passati oltre cinquant’anni, ma è sempre peggio, davvero la poesia potrà salvare l’uomo?
R. Sì, la poesia può salvare l’uomo perché insegna all’uomo la gentilezza, elemento necessario per percepire il ‘raptus’, per orientare il suo cammino nella scelta di vivere con gioia la vita vera.
D. A pag. 368, insolito per un poeta e un uomo, Ungaretti parla di Pucci, Calèche di Hermes, profumi e foulard, aveva passione per il mondo della moda o solo per te? Era un uomo molto occupato, ma trovava il tempo di scegliere…
R. Sì. Solo per me! Nel tempo libero si dedicava a cercare le cose più belle e poi me le spediva… ora è tutto conservato, non ho più usato nulla.
Anche vestiti, bastoni, trofei, etc. appartenuti a Ungaretti, sono in un container a Canelli, a Villa Ungà, insieme con i libri preziosi che mi regalava e voleva avessi solo io, la sua ossessione d’amore…
D. Nelle lettere parla del libro a due scritto con te, ‘Dialogo’. È introvabile?
R. Sì, purtroppo ne furono stampate solamente cento copie ed è davvero una rarità ormai.
D. Pag. 414 è imperniata sulla perennità dell’amore, la senti?
R. Sì, assolutamente, l’ho inghiottita! Ho inghiottito Ungà, perché l’ho amato e l’amo tanto, lo faccio vivere con me e dentro di me, per tutto il tempo.
Io vivo una doppia vita: lo sogno, sogni colorati, mai brutti. E cerco di stare in buona salute perché lui continui a vivere con me…
Ungaretti e la luce dell’energia
D. A pag. 511 si allude a un tuo romanzo, ma è mai stato pubblicato?
R. No, lo sto trascrivendo.
D. In una lettera a pag. 616 sembra non conoscere la data del tuo compleanno?
R. Probabilmente era nel periodo di particolare stanchezza in cui stava viaggiando parecchio per la questione del Nobel per la letteratura…
D. Nelle lettere successive parla di viaggi, Parigi, Losanna, infaticabile! Da dove gli derivava tutta quell’energia?
R. Allora me lo ero domandato anch’io, ma adesso che ho la sua età capisco perché mi sento una giovinetta!
D. A pag. 640 di nuovo la ‘luce’, sempre?!? È la tua ‘missione’, ora, trasmettere il senso di luce di Ungà?
R. Sì, assolutamente!
D. Cosa rappresentava, oltre a te, la luce per lui?
R. Era l’elemento che per lui rappresentava la vita nel deserto; era nato ad Alessandria d’Egitto, un paese dove la luce è particolarmente intensa, accecante… e l’ha fatta sua. Non voleva tende, non amava l’oscurità, amava la luce!
D. Cosa rappresenta invece, oltre che lui, la luce per te?
R. La vita, la gioia di vivere che ho ereditato da lui, alla quale mi ha riconsacrata.
Amare e scrivere
D. La storia fra te e Ungà era un amore spirituale e platonico o anche fisico, vista la notevole differenza d’età?
R. Anche oggi molti speculano su una venticinquenne che si relaziona con un ottantenne, ma è qui che devo sottolineare la mia verità. Fin da bambina, a quattro anni, volevo scrivere, avevo la passione per le parole, per i temi a scuola: era la mia droga, e il mio conforto era la poesia.
Anche Ungà aveva questa predestinazione di scrivere: cosa è successo? La necessità è il ‘raptus’ di cui parlavamo prima, quella che le persone hanno per raggiungere il loro traguardo: lo scrivere… e lo scrivere le porta all’orgasmo.
Anche a Leopardi piaceva scrivere; Ungà, nella guerra e nel fango godeva nel comporre la poesia, nel dolore gli dava conforto la parola. Quando incontrò Bruna ritrovò il piacere e il godimento dello scrivere, e anche Bruna ha trovato il massimo orgasmo nello scrivere a Ungà: questo si rinnovava reciprocamente, come una necessità fisica, il piacere, l’atto dello scrivere!
Un miracolo d’intesa, continuare a godere fisicamente la parola, ammirare la fortuna che abbiamo avuto… Ero innamorata anche dell’uomo seducente e che mi ha fatto sentire donna e scoprire l’amore, la luce, le sue rughe, l’essere alla pari, sullo stesso piano; lo spogliarsi senza pudori…
D. Dicevi: solo litania d’amore, grido costante d’amore, orgasmo d’amore era scrivere ogni giorno… l’hai capito trascrivendo le tue lettere a Ungà…
R. Sì, sto terminando, le lascerò ai miei nipoti, ora ne ho sei, da poco sono nati altri due gemelli.
D. Hanno scritto che, dopo la morte di Ungà, nel 1970, hai deciso di smettere di scrivere e vivere una vita ‘normale’… come mai proprio giurista/avvocato?
R. Ho studiato per fare quello; non volevo proseguire il mio percorso nella letteratura perché sarei stata considerata come ‘la mano lunga di Ungà’ e non desideravo questo, né tanto meno allori e riconoscimenti da parte di altri.
Ho cercato la mia identità e sono rimasta nel mio ambiente. Dopo la sua morte ho deciso di chiudere con tutti i ricordi, lasciare quel piano di regina del mondo: dimenticare/nascondere per incontrare la fortuna, auguratami da Ungà, nel mio matrimonio e nella mia famiglia!
Viaggi nel mondo e nell’anima
D. Nata in Piemonte; quindici anni in Brasile, sei stata a Santo Stefano al mare poi a Santa Margherita, da cinque anni sei a Pietra Ligure: tuo padre era ingegnere con tre lauree, hai avuto tre figli, poi siete vissuti anche a Edimburgo… ne hai fatta di strada?
R. Sì, sono nata in Piemonte, a Cossano Belbo, in provincia di Cuneo, nel 1940, e ho vissuto molto in Liguria. Mio padre si trasferì con me e la mia famiglia in Brasile per aprire una filiale della Bosca Spumanti di Canelli laggiù.
Era laureato in ingegneria, economia e commercio e giurisprudenza. Dopo la morte di Ungà mi sono sposata con Pietro Giannetti (Giannetti simile a Ungaretti… sono certa che me lo ha mandato lui).
Un marito bello, colto ed elegante, ed era anche toscano. Con lui ho conosciuto l’Italia, Carrara, siamo andati a sciare nelle Alpi Apuane. E abbiamo avuto tre figli straordinari: Francesco (1974), poi Federico (1975) e, infine, Anna Maria (1977).
D. Il genero non voleva matrimonio fra te e Ungà, alla fine del ’68; lui abitava all’Hotel dei Congressi, poi si ammalò a Milano; Leone nel ’69 lo indusse a non tornare in Brasile. Poi subì lo smacco di non vedersi assegnato il Nobel e racconti che provò vergogna e amarezza e per questo non osò chiederti in matrimonio a tuo padre….
R. È vero, in aeroporto mi disse che non sarebbe mai più tornato in casa della figlia e del genero; avrebbe voluto comperare una casetta a Capri per noi e per continuare i nostri lavori di traduzione, ma non scrisse mai più, la delusione per il Nobel mancato fu profonda.
A me rimase il rimorso di non essergli stata vicina durante i suoi ultimi mesi di vita.