Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto_
Spettacoli

Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto il docu-film

La Grande Arte al Cinema

Il docu-film “Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto” verrà presentato sugli schermi (25/27 Marzo ’19) nell’ambito de La Grande Arte al cinema, progetto di Nexo Digital. Voce narrante Adriano Giannini, soggetto di Marco Goldin e Matteo Moneta, regia di Claudio Poli, colonna sonora originale del compositore Remo Anzovino.

Si potrà ripercorrere la vita dell’artista, ascoltarne le parole, tratte da testi autobiografici e da lettere, e ammirare le opere custodite nei grandi musei europei (Parigi, Mosca) e americani (New York, Boston,Washington, Chicago, Buffalo).

Eugène Henri Paul Gauguin (1848 Parigi – 1903 Polinesia), è stato pittore e scultore dalla forte personalità e dal percorso artistico ricco, ma inquieto, come la sua vita, travagliata e vagabonda, “una vita spericolata”.

Trascorre l’infanzia in Perù (la madre discendeva da nobile famiglia spagnola), dove i colori accesi lasceranno una traccia indelebile. Tornato in Francia, arruolatosi in marina, viaggia per il mondo.

Solo dopo il 1871 a Parigi inizia ad accostarsi agli impressionisti (Degas, Cézanne, Monet) e a dipingere, diventando amico e allievo di Pissarro. Si sposa con la danese Mette, ma avrà poi diverse compagne e diversi figli; dal 1883 si alterna tra la Normandia, la selvaggia Bretagna (Pont-Aven) e Parigi.

Presto cresce in lui l’interesse per l’arte antica ed esotica (giapponese, precolombiana), richiamate nelle sue opere in una originale commistione. Inizia a staccarsi dall’impressionismo. Nel 1887 va in Martinica e l’anno dopo, in Provenza (Arles), conosce Vincent van Gogh con cui condivide l’irrinunciabile esigenza di esprimersi attraverso la pittura, pur essendo artisticamente del tutto diversi.

Si avvicina al simbolismo, dopo avere conosciuto alcuni letterati (Mallarmé e Redon).

La “Visione dopo il sermone” (1888, National Galleries of Scotland) segna un punto di rottura; nel dipinto, dove si ispira al giapponese Hokusai, coesistono due piani: uno reale (le donne bretoni inginocchiate in preghiera) e uno immaginario (la lotta di Giacobbe con l’angelo su un pavimento rosso).

Entra il flusso di coscienza: i pensieri, le emozioni, i sogni, le fantasie, il mondo interiore prendono il sopravvento sulla rappresentazione naturalistica (il “plen air” degli impressionisti).

E’ un rovesciamento radicale, il passaggio alla modernità.

“Il Cristo giallo” (1889), il cui volto ricorda quello di Gauguin, è un esempio di primitivismo, dove l’artista rilegge la realtà attraverso le proprie emozioni e il colore.

La vera svolta avviene nel 1891 quando, spinto dal desiderio di allontanarsi da una società in cui non si riconosce, di sentirsi libero e di scoprire la bellezza di una natura vergine, parte per Tahiti, già “contaminata” però dagli effetti del colonialismo.

Si stabilisce nell’interno a Mataiea; dipinge soggetti maori, di cui valorizza l’autenticità, i corpi massicci. Studia a fondo la cultura maori, in particolare la mitologia con i suoi eroi dalle pose ieratiche, alla ricerca delle fonti del “primitivo” e si concentra sull’intensità della luce e sulla tonalità dei colori, utilizzando primari (rosso, giallo, azzurro) e secondari (viola/malva, verde, arancio) per creare contrasti.

Scrive e illustra due opere: “Ancien culte Mahorie” e “Noa Noa”.

In “Ia Orana Maria (Ave Maria)” (1891) sono rappresentati Gesù e Maria tahitiani (a Mataiea gli abitanti sono cattolici). Maria indossa un pareo rosso e ha sulle spalle il bambino, entrambi hanno l’aureola e stanno per ricevere il saluto (“Ia Orana”) dell’angelo dalle ali gialle. L’atmosfera è di tranquillità e di pace.

Gauguin dipinge opere simboliste, come “Manao tupapau (Lo spirito dei morti veglia)”, che rappresenta l’incontro tra la vita (la fanciulla immersa nel sonno e stesa bocconi sul letto) e la morte (il Tupapau, lo Spirito dei morti).

Nel 1893 espone a Marsiglia le sue opere tahitiane, dai titoli in lingua maori, non apprezzate dal pubblico e dalla critica. Ritorna, povero e malato, a Tahiti, ma la situazione infine cambia: a Parigi i suoi dipinti vengono apprezzati e richiesti.

Nel 1896 ritrae “Te Arii Vahine (La donna dai manghi – La donna del re): in primo piano, sdraiata a gambe incrociate e con una mano a coprire il pube, la nuova compagna, Pahura, ricorda nella posa altri celebri nudi. Gauguin la definisce una “Eva tahitiana”, da amare senza sensi di colpa in nome di un erotismo naturale agli antipodi della rigida morale sessuale occidentale.

Sullo sfondo piante immaginarie in una sorta di Paradiso terrestre sottolineano il significato allegorico dell’opera.

Nel 1897 dipinge “Da dove veniamo? Cosa siamo? Dove andiamo?”; l’opera simbolista, di grandi dimensioni (da leggersi da destra a sinistra), è considerata, con il “Il guado”(1901), il testamento artistico e spirituale di Gauguin: una metafora della vita dall’infanzia alla vecchiaia e l’interrogarsi sul suo senso profondo.

Nel 1901 si trasferisce a Hiva Hoa nelle isole Marchesi, dai paesaggi grandiosi e selvaggi; nel villaggio di Atuana costruisce un’abitazione/studio “La Maison du Jouir” (“La casa del Piacere”), oggi piccolo museo, e si mobilita per difendere i diritti degli indigeni, ponendosi in contrasto anche con la Missione cattolica.

Gauguin muore nel 1903.

Per la critica Gauguin, anche in Polinesia, nonostante la sua aspirazione ad essere libero e la sua ricerca dell’essenziale, rimarrà sempre influenzato dall’arte europea di fine ‘800, in particolare dal simbolismo, senza mai sfuggire alle proprie origini.