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Aspettando i barbari lungo un confine senza senso

Waiting for the Barbarians

Aspettando i barbari. In un isolato insediamento di frontiera in mezzo al deserto e alle montagne, in una fortezza che segna il confine di un impero senza nome, il Magistrato, un brav’uomo tranquillo in attesa di andare in pensione, convive pacificamente con i nomadi che vivono da sempre nel territorio brullo, dove si alternano il caldo secco e la polvere dell’estate alla neve e al freddo dell’inverno.

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La sua curiosità lo spinge a raccogliere testimonianze della civiltà locale, manufatti e soprattutto tavolette incise in una grafia antica, che nessuno sa più decifrare.

Sospesi tra un passato perduto e un futuro che si ripete sempre uguale i nomadi vivono di pastorizia e piccoli commerci, mentre i componenti del presidio attendono l’avvicendamento e il richiamo in patria.

Il sole accecante sembra uniformare uomini e cose, in un tempo ciclico che spegne ogni desiderio di azione e di mutamento.

La minaccia immaginaria

Ma l’arrivo del Colonnello Joll, un poliziotto che ha il compito di riferire sulle attività dei “barbari” e sulla sicurezza al confine, travolge il corso delle cose.

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Joll ( Johnny Depp dietro inquietanti lenti scure) crede o vuole credere che le popolazioni indigene siano una minaccia e stiano preparando rivolte e disordini su cui indaga, raccogliendo confessioni estorte con spietati interrogatori e torture.

Di fronte ai maltrattamenti inflitti ai “barbari” dal Colonnello, e soprattutto in seguito all’incontro con una giovane donna “barbara” che porta sul corpo e nell’anima le torture subite per costringere il padre a confessare piani di attacco inesistenti, il Magistrato matura una rivolta morale.

Il racconto si dipana in quattro capitoli scanditi dal ritmo delle stagioni e dall’altenarsi di periodi di tranquillità ad altri di tensione, provocata dall’intervento del colonnello Joll per il quale il confine è “la prima linea di difesa dell’Impero” e che per sventare l’immaginario attacco delle popolazioni locali, teorizza l’uso della violenza e del dolore per arrivare alla “verità”.

Il film diretto da Ciro Guerra, regista colombiano al suo debutto con una produzione internazionale, si basa sul romanzo “Aspettando i barbari” (1980) di J.M. Coetzee, il romanziere sudafricano vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 2003, che ne ha curato la sceneggiatura. Il titolo richiama la lirica di C. Kavafis, in cui i barbari sono un’invenzione con cui si immagina di dare senso alla vita consumata nell’attesa di un evento risolutore.

La forza suggestiva delle immagini propria del cinema di Guerra esprime il contrasto tra i “barbari”, i popoli colonizzati, e i dominatori, che si dichiarano “civilizzati”, tra una civiltà arcaica e la modernità, mostrando il potere corruttore della volontà di dominio che costringe alla menzogna, ma che non riesce a scalfire la capacità di chi vive di poco, a contatto con la terra e il tempo, e sa resistere aspettando che l’invasione dello straniero passi e tutto torni nel ciclo naturale.

Chi sono davvero i “barbari”?

Il regista Guerra propone una riflessione sulla presunzione con cui si usa e si è usato questo termine per indicare popolazioni e civiltà diverse, autoassolvendosi per averle oppresse e asservite.

Come nelle pagine di Coetzee, il racconto si svolge dal punto di vista del Magistrato mostrando il disagio e la reazione sul piano esistenziale e morale di un uomo che sembra non chiedere molto alla vita, ma sa dove sta la verità e dove la menzogna e non può fingere e tollerare per quieto vivere.

Mark Rylance ce lo mostra apparentemente debole e inerme e ne fa trasparire il dissidio interiore e la forza morale. È impareggiabile quando al colonnello Joll, che vuol avere da lui informazioni sulla sua complicità con i “barbari”, traduce le indecifrabili iscrizioni antiche come messaggi cifrati di intelligence.

Sul piano storico-politico i punti di contatto con l’attualità sono sottotraccia, ma efficaci e rivelatori: la ricerca di un nemico esterno su cui riversare responsabilità e tensioni vede oggi i migranti come stranieri e “barbari”, trasformando in una minaccia uomini, donne, bambini che cercano di sfuggire alla guerra e alla povertà.

Ha detto Guerra: “Quando abbiamo incominciato a lavorare all’adattamento del romanzo di J.M. Coetzee, pensavo che la vicenda fosse ambientata in un mondo e in un’epoca lontani. Tuttavia, durante le riprese del film, la distanza nel tempo e nello spazio si è progressivamente ridotta e ora che il progetto è concluso, la trama si è trasformata in una storia sulla contemporaneità.”

Il pregevole lavoro sulle immagini vede l’alternarsi di interni angusti e distese desertiche di desolata bellezza, dove si consuma la lotta impari fra due civiltà che nell’alternanza del dentro/fuori si trovano in vantaggio ciascuna nei luoghi che meglio conosce, mentre è destinata a soccombere nei paesaggi sconosciuti e ostili.

La regia sontuosa ed essenziale di Guerra è un piacere per lo sguardo.

WAITING FOR THE BARBARIANS -diretto da CIRO GUERRA – con Mark Rylance, Johnny Depp, Robert Pattinson, Greta Scacchi – Gana Bajarsajhan  – https://iervolinoentertainment.it/